Chi preferisce le preferenze?

È notizia di questi giorni (per quanto ricorrente con una certa periodicità) l’insofferenza della minoranza del PD nei confronti della leadership di Renzi, e del modo con cui la nuova dirigenza (in carica dall’ultimo congresso, cioè dal dicembre 2013) sta gestendo sia il partito sia il governo.

Possiamo sorvolare sul fatto i più noti tra quelli che puntano l’indice abbiano zero tituli (cit.) per avanzare qualunque tipo di critica? Secondo me no, basta sceglierne una: calo di iscritti nel partito? poco spazio decisionale alla minoranza interna? governo di larghe intese? riforme istituzionali con Berlusconi? frizioni col sindacato? Da D’Alema a Bersani, passando per Bindi e Fassina, hanno tutti avuto ruoli di governo o come minimo da dirigente di partito, e si sono resi “colpevoli” delle stesse cose di cui adesso accusano Renzi – con la differenza che quest’ultimo ha utilizzato il suo consenso personale per allargare l’elettorato del PD e renderlo un partito potenzialmente vincente e maggioritario.

Comunque sia, tra le tante questioni ce n’è una su cui la fronda interna al PD sembra non voler arretrare di un passo: quella delle preferenze nella legge elettorale. L’Italicum, ancora lui. Come alcuni sapranno, dopo una prima versione (molto criticabile) approvata alla Camera, al Senato la legge di riforma elettorale è stata sensibilmente modificata, venendo incontro a molte delle critiche provenienti proprio dalla minoranza PD: e quindi, è stata alzata la soglia di accesso al premio di maggioranza (dal 37 al 40%), sono state abbassate le soglie di sbarramento (ora al 3% per tutti) ed è stato introdotto il voto di preferenza per tutti i candidati successivi al capolista. Si noti che se il Nuovo Centrodestra non fosse stato favorevole a queste modifiche (malviste invece da Forza Italia), Renzi sarebbe stato costretto ad approvare la nuova legge nella sua prima versione, pur di cambiare quella attuale. L’abilità di NCD è stata quella di inserirsi nella trattativa, facendo proprie quelle proposte di modifica che avrebbero trovato molti consensi anche dentro il PD. Questa è la ragione per cui Forza Italia si è ritrovata costretta a dire sì anche a delle modifiche che andavano in direzione esattamente opposta ai suoi interessi (su tutte, la scomparsa delle coalizioni), perché nel frattempo si stava venendo a creare una maggioranza in grado di approvare il nuovo Italicum senza i suoi voti.

Ma secondo gli esponenti della minoranza PD, l’Italicum non va ancora bene. E in particolare non va bene quel meccanismo per cui le preferenze valgono solo per una parte dei futuri eletti, mentre altri saranno individuati con il meccanismo del capolista bloccato. Si bolla la riforma come “antidemocratica”, poiché la scelta degli eletti non spetterebbe in toto agli elettori. Dal che si deduce che ogni sistema elettorale che non preveda le preferenze (o i collegi uninominali, o qualunque altro modo per far scegliere gli eletti esclusivamente agli elettori) sia per definizione antidemocratico. Peccato che tutto ciò basterebbe a classificare buona parte dei paesi dell’Unione Europea come antidemocratici. Per capire perché, segnalo l’eccellente articolo di Andrea Piazza uscito su YouTrend qualche settimana fa.

Ancora. Secondo la minoranza PD, l’attuale quota di eletti con le preferenze prevista dall’Italicum (variabile, da un minimo del 38% degli eletti totali a un massimo di circa due terzi) non è sufficiente: essa va innalzata a circa il 70%, per legge. Qui ci si ritrova a domandarsi: qual è la percentuale minima ritenuta accettabile? Perché il 70% va bene e il 50% no? Ma soprattutto: agli italiani interessa davvero così tanto scegliere il proprio rappresentante?

La risposta a quest’ultima domanda può venire da un numero, il cosiddetto Indice di Preferenza (IP). Questo numero ci dice in che misura gli elettori si avvalgono delle preferenze quando il sistema elettorale glielo consente. In Italia ciò avviene per quasi tutte le elezioni: comunali, regionali ed europee prevedono tutte l’utilizzo del voto di preferenza, unica o multipla. E questo indice è stato calcolato da ultimo con riferimento sia alle Europee 2014 (dal CISE) sia alle recenti regionali in Emilia-Romagna e Calabria (da Andrea Piazza e dal sottoscritto, sempre per YouTrend). Il risultato? Non ve lo anticipo, lo trovate nell’articolo linkato. Ne ho parlato anche l’ultima volta che sono intervenuto ad Omnibus, il 13 febbraio scorso.

In conclusione, chiediamoci: l’attuale meccanismo dell’Italicum è davvero così antidemocratico? Fanno bene i parlamentari non-renziani del PD a minacciare di sabotare la riforma se le loro richieste non saranno soddisfatte?

Personalmente, credo che la questione sia in gran parte puramente strumentale.

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