A proposito di corruzione, articolo 18 e legge elettorale

Puntata del 13 dicembre 2014 di Omnibus, condotto questa volta da Alessandra Sardoni. Durante la trasmissione si è parlato soprattutto dello sciopero generale che ha bloccato l’Italia il giorno prima, ma anche di corruzione (gli scandali di “Mafia capitale” sono ancora freschi) e dell’azione del governo Renzi in generale.

Anche questa volta sono intervenuto come ospite, in collegamento esterno, per dare alcuni dati: i primi, relativi al sondaggio sulla corruzione che Quorum ha svolto per “Riparte il futuro” (date un’occhiata al sito e aderite alla campagna, ce n’è davvero bisogno); e i consueti sondaggi elettorali, prima quelli della “supermedia” di YouTrend e poi uno esclusivo realizzato di recente, ancora da Quorum.

Di seguito il video della trasmissione (il primo dei miei interventi arriva dopo circa 18 minuti, il secondo dopo un’ora e 12)

Dato il mio “ruolo” nella trasmissione (quello di ospite “esterno”, mero “fornitore di dati”) di norma non mi lascio coinvolgere nel dibattito che si svolge in studio. Stavolta però vorrei, in questo mio piccolo spazio, fare due puntualizzazioni rispetto ad alcune cose dette in trasmissione.

Prima puntualizzazione: ad un certo punto il giornalista Fabrizio Ravoni (“il Giornale”) afferma che nel Jobs Act, recentemente approvato in via definitiva al Senato, non viene nemmeno menzionato l’articolo 18 (dello Statuto dei lavoratori); quindi tale legge sarebbe solo una scatola vuota, tutto “fuffa” e niente sostanza.

Questo non è affatto vero. Tanto per cominciare, alla lettera C del comma 7 del Jobs Act, è scritto che il Parlamento impegna il governo ad emanare uno o più decreti legislativi in cui si preveda l’introduzione

[… ]per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento;

Ora, per fare tutto questo è indispensabile modificare il suddetto articolo 18. Si può essere favorevoli o contrari a questa modifica, ma dire che l’articolo 18 non viene toccato dal Jobs Act (solo perché non compare espressamente la dicitura “articolo 18”) è falso.

Peraltro, chi volesse prendersi la briga di leggere per intero il provvedimento approvato dal Senato scoprirebbe che con quella legge si è data una delega al governo italiano a riformare profondamente (e secondo criteri piuttosto precisi) il funzionamento del mercato del lavoro italiano. Se vi è sembrato che di Jobs Act negli ultimi mesi si sia parlato solo in relazione all’articolo 18, non vi siete sbagliati: è esattamente quello che è successo. Probabilmente molti cittadini avrebbero gradito conoscere tutti gli altri aspetti che verranno riformati, e magari confrontare le posizioni delle varie forze politiche sul come riformarli. Ma tutto ciò non è avvenuto, e questa è una responsabilità che ricade tanto in capo alla politica (governo, maggioranza e opposizione) quanto al sistema dell’informazione, che evidentemente in tema di Jobs Act ha informato poco e male.

Seconda osservazione: il professor Pasquino (per chi non lo conoscesse, uno dei più autorevoli politologi italiani) afferma senza mezzi termini che il Mattarellum sia un sistema elettorale migliore dell’Italicum. In generale, va molto di moda la narrazione per cui l’Italicum sarebbe frutto di un compromesso al ribasso, e che sia un mistero il motivo per cui vada privilegiata una riforma di compromesso rispetto ad un più semplice ripristino della legge Mattarella. Ora, dal mio punto di vista l’Italicum (nella sua versione 2.0, ne ho parlato qui) è meglio del Mattarellum per almeno tre motivi:

1) Come spesso ama ripetere Renzi, il giorno dopo le elezioni (che sia al primo o al secondo turno) vi sarà sempre un partito con una maggioranza alla Camera dei Deputati; se si riuscirà a completare la riforma costituzionale che elimina il legame fiduciario tra Senato e governo, questo vorrà dire individuare immediatamente chi formerà un governo; quello che nessuno sembra ricordare è che con il Mattarellum questo non era possibile: in ben due elezioni su tre in cui venne usato, quel sistema elettorale non diede la maggioranza assoluta alla coalizione vincente (al centrodestra al Senato nel 1994, al centrosinistra alla Camera nel 1996); inoltre, la formula del collegio uninominale e l’esistenza della doppia scheda favoriva la frammentazione: si formavano coalizioni pre-elettorali di tanti partiti, buone per vincere le elezioni ma ancor più per farli litigare una volta al governo; questo difetto è stato successivamente ereditato (se possibile in forma peggiore) dal Porcellum.

2) Il Mattarellum è un sistema misto, ma prevalentemente maggioritario: tre quarti dei seggi erano assegnati al candidato che arrivava primo nel suo collegio. Questo rendeva possibile, in linea teorica, che un partito (o una coalizione) che avesse avuto una maggioranza relativa, distribuita in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, vincesse la stragrande maggioranza dei collegi (o addirittura tutti). Basta guardare la mappa elettorale delle Europee 2014 per comprendere come ciò sia una possibilità tutt’altro che irrealistica: se quelle fossero state elezioni politiche, e si fosse votato col Mattarellum, è molto probabile che il PD avrebbe ottenuto una quota di seggi vicina ai due terzi (come emerso anche in alcune simulazioni), e tutto ciò con il 40% dei voti. Al contrario, l’Italicum fissa una soglia massima del 55% dei seggi. Non se ne possono vincere di più, tranne nel caso in cui si ottenga da soli più del 55% dei voti (e lì funzionerebbe come un proporzionale). Quindi, in fin dei conti, l’Italicum non solo assicura sempre e comunque una maggioranza, ma lo fa evitando eventuali distorsioni eccessive, rischio insito in tutti i sistemi maggioritari di collegio (a uno o due turni; guardate cosa successe nella democraticissima Francia alle legislative del 1993).

3) Terzo e ultimo punto, l’accesso al Parlamento: il Mattarellum prevedeva una soglia di sbarramento (nel voto proporzionale) del 4%; i piccoli partiti ottenevano comunque seggi grazie ai candidati di coalizione “piazzati” in alcuni collegi maggioritari, ma un partito fuori dalle coalizioni principali sarebbe rimasto senza rappresentanza a meno di non raggiungere quella soglia; l’Italicum, dopo una sua prima versione che prevedeva soglie “monstre” all’8% (con lo sconto al 4,5% per i partiti coalizzati), prevede nella sua nuova versione una soglia di sbarramento al 3% uguale per tutti i partiti. Quindi, non solo si elimina l’assurdo dualismo (vigente anche nel Porcellum) per cui un partito che abbia meno voti di un altro ottenga seggi solo in quanto facente parte di una coalizione, ma si aumenta la rappresentatività delle forze politiche, senza per questo inficiare la governabilità, sempre garantita dal premio di maggioranza.

I principali detrattori dell’Italicum, infine, sostengono che il sistema dei 100 capilista “bloccati” sia una disposizione profondamente antidemocratica, e che solo il collegio uninominale sia la soluzione democratica per eccellenza. Su questo, non sono d’accordo: da sostenitore del collegio uninominale (per motivi che riguardano l’accountability dei candidati e la convergenza degli interessi tra partito e candidato sullo stesso ambito territoriale) non posso non ricordare che esiste, in ogni sistema fondato sui collegi, una certa quota di collegi “blindati” in cui un partito è talmente radicato che è in grado di vincere qualunque sia il suo candidato; se analizziamo i collegi vinti (ad esempio) dal centrosinistra ai tempi del Mattarellum, noteremo che questi collegi “sicuri”, in cui la vittoria non è mai in discussione, sono forse ben più di 100. Non sarà molto diverso con l’Italicum: se un partito avrà diritto a più di 100 seggi (che si tratti del partito vincente o di un grande partito di opposizione) avrà la possibilità di eleggere fino 100 candidati “blindati”. Non è il migliore dei sistemi possibili, ma non mi sembra così terribile. E soprattutto, visti i punti precedenti, mi sembra un sacrificio più che accettabile se l’obiettivo è garantire insieme rappresentanza e governabilità.

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