Intervista a Linkiesta.it (argomento: il Rosatellum-bis)

Dopo la pubblicazione (su Agi e YouTrend) delle simulazioni relative al “Rosatellum bis”, l’ultima proposta di riforma elettorale, sono stato contattato da Francesco Cancellato – direttore del sito di informazione Linkiesta.it – per un parere “tecnico” su questa proposta. Ne è venuta fuori una vera e propria intervista, che Linkiesta ha pubblicato a questo link e che ripropongo qui in forma integrale.


 

Per capire se l’Italia avrà un governo, se mai venisse approvata la nuova bozza di legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, bisogna guardare con molta attenzione la trattativa tra Salvini e Berlusconi per i seggi uninominali del Nord. Ne è convinto Salvatore Borghese, trentenne, analista di Quorum e caporedattore di YouTrend, specializzato in analisi e simulazioni elettorali. È attraverso questa trattativa, a suo avviso, che passa anche l’approvazione o l’affossamento dell’ultima possibilità che questo Parlamento ha a disposizione – dopo l’incostituzionalità di Porcellum e Italicum e l’affossamento del Tedeschellum (e prima ancora del Rosatellum 1.0) – di dare al Paese una legge elettorale.

Andiamo con ordine, però. Perché prima di arrivare agli esiti di questa legge ci sono un mare di domande a cui rispondere. Se è davvero necessario cambiare le due leggi attuali – ora, a pochi mesi dal voto – uscite da due diverse sentenze della Corte Costituzionale. Oltre, banalmente, a capire come funzionerà per i cittadini elettori, che si troveranno di fronte una scheda che non hanno mai visto prima e di un sistema di calcolo dei voti che Borghese definisce – eufemismo? – «cervellotico». Premettendo, ovviamente, che il Rosatellum è ben lontano dall’essere approvato così com’è: «Siamo in uno scenario ipotetico del terzo tipo», mette le mani avanti.

Partiamo dalle basi, Borghese. Era davvero necessario modificare le leggi elettorali di Camera e Senato a sei mesi dal voto? Non finisce per far prevalere le istanze politiche della maggioranza parlamentare che si accorda per cambiarla?

In teoria, è vero, non si dovrebbe fare. C’è una risoluzione del Consiglio d’Europa che vieterebbe di cambiare legge elettorali in prossimità di un voto politico. Però non c’è nessuna sanzione prevista per chi non lo fa. Diciamo che è una questione di stile.

Di cui noi ce ne freghiamo, pare di capire…

Sì, ma non è necessariamente una colpa. Questo è un Parlamento che ci ha provato dal primo giorno dopo la sentenza della Consulta sul Porcellum a fare una nuova legge elettorale. Non è come nel 2005 o nel 2012, che si è cominciato a parlare di legge elettorale a pochi mesi dal voto. Peraltro, si era riusciti già ad approvarne una, l’Italicum, poi bocciata pure quella dalla Consulta.

Però una legge elettorale ce l’abbiamo già, o no?

Sì, infatti la ragione per cui una nuova legge è necessaria non è tecnica, ma squisitamente politica. Quelle di Camera e Senato sono due leggi molto diverse tra loro, per rami del Parlamento che hanno funzioni pressoché identiche.

Anche Mattarellum e Porcellum però erano disomogenee…

Sì, ma queste lo sono troppo. Alla Camera il premio è per la lista, al Senato per la coalizione. Alla Camera ci sono i capilista bloccati, al Senato le preferenze. Alla Camera ci sono circoscrizioni piccole, al Senato sono enormi. Al di là delle questioni di stile, uniformare le due leggi è necessario. E siccome non ci sono accordi per estendere una delle due leggi all’altra camera, è fisiologico che si tenti la mediazione con una legge nuova.

Il Rosatellum, per l’appunto. Ci spiega brevemente come funziona?

Diciamo che è più simile al sistema elettorale del Senato: sono permesse le coalizioni, con lo sbarramento al 10%, mentre la soglia per le liste è al 3%. La grande differenza è che mentre il Senato oggi è eletto interamente col metodo proporzionale, con il Rosatellum il 36% dei seggi sono assegnati in collegi uninominali.

Come mai?

Per inserire un meccanismo di premialità. Se una coalizione riuscisse a vincere in tutti i collegi uninominali, per assurdo, avrebbe la maggioranza di entrambi i rami del Parlamento anche con il 35% dei consensi.

Beh, ma non era uno dei problemi costituzionali dell’Italicum o del Porcellum, questo? Che una minoranza potesse trovarsi a governare?

No. La Consulta aveva contestato al Porcellum che non ci fosse alcuna soglia. Per assurdo, con dieci liste al 10%, quella con il 10% più un voto poteva avere la maggioranza alla Camera. Lo stesso valeva per l’Italicum: che è vero, aveva la soglia del 40% al primo turno. Ma al ballottaggio il problema si riproponeva tale e quale. Ci fossero finite due forze con il 20% dei voti quella vincente si sarebbe presa il 55% dei seggi. Il Rosatellum, invece, non sembra avere evidenti profili di incostituzionalità.

Ok, andiamo avanti: come funziona per noi che andiamo a votare?

Funziona che c’è una sola scheda. Nella quale ogni elettore troverà stampato il nome dei candidati al collegio uninominale del suo seggio, i simboli delle liste che lo sostengono e, accanto a esse, un listino prestampato di candidati al proporzionale, non inferiore a tre e non superiore a sei nomi. Abbiamo tre possibilità: possiamo scegliere di barrare semplicemente il nome del candidato, il simbolo di una lista a lui collegata, oppure entrambi. Il voto disgiunto, a differenza di quanto accade alle comunali, non è ammesso.

E cosa succede dopo?

Il sistema di calcolo è un po’ cervellotico. Se hai votato la lista, nessun problema. Il tuo voto viene conteggiato tale e quale.

E se hai barrato solo il nome del candidato?

Entra in gioco il sistema di ripartizione. Facciamo un esempio: un’ipotetica coalizione di centrodestra prende il 40% dei voti, così suddivisi: 15% a Forza Italia, 15% alla Lega Nord, 5% a Fratelli d’Italia. Il restante 5% si divide tra la lista animalista di Maria Vittoria Brambilla, il partito di Tremonti e una lista di estrema destra, ognuna delle quali non raggiunge il 3%. Il voto di tutti quelli che non hanno espresso preferenza di lista viene ripartito alle tre liste che hanno superato la soglia del 3%.

Quindi, in una situazione del genere, il centrodestra si prende il 40% dei seggi assegnati col metodo proporzionale, ma ne beneficiano solamente Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia, ognuno in funzione delle sue percentuali. Corretto?

Corretto.

Quindi tornano le mitiche liste civetta, tipo Forza Totti, Basta Tasse o Lega per il Federalismo?

Esatto, ma meno di un tempo. Perché le liste in coalizione che non prendono almeno l’1% non concorrono a formare la percentuale di consenso raccolto dalla coalizione. Quindi sì, è utile fare le liste civetta, ma vanno fatte bene. Diciamo che è una legge che favorisce i cosiddetti “cespugli”, i piccoli partiti che faticano ad arrivare al 3%. Che devono necessariamente coalizzarsi e, nello stesso tempo, diventano decisivi per le coalizioni. E che proprio per questo cercheranno di strappare più collegi uninominali possibili, tra quelli sicuri, per avere un po’ di rappresentanza parlamentare.

Se le cose stanno così, i problemi maggiori ce li hanno le liste piccole che non vogliono coalizzarsi con nessuno, tipo Mdp…

Esatto. Però Mdp da sola al 3% ci potrebbe pure arrivare. Certo, con la legge attuale, si prenderebbe il 3% dei seggi, mentre col Rosatellum, non avendo possibilità di vincere alcun collegio uninominale, dovrebbe accontentarsi del 3% dei 2/3 dei seggi. Peggio ancora però andrebbe a Sinistra Italiana. Che il 3% non lo raggiunge e che non può nemmeno coalizzarsi con Mdp, perché la soglia per le coalizioni è del 10%, troppo lontana anche solo per sperarci. A questo punto, per loro, l’unica soluzione è fare una lista unitaria tipo quella della Sinistra Arcobaleno del 2008. Quel precedente però non è molto incoraggiante.

Per quanto siano interessanti i destini della sinistra, concentriamoci su questioni più urgenti: con questa legge quante possibilità ci sono che dalle urne esca una maggioranza parlamentare?

Nessuna legge elettorale, al netto di quelle a doppio turno, è in grado di garantire una maggioranza parlamentare. Mettiamola così: è una legge che dà una mano a chi è in grado di vincere i collegi uninominali. Il centrodestra, ad esempio, che potrebbe fare bottino pieno nel nord Italia, così come il Pd al centro. Ma, come emerge dalle nostre simulazioni, difficilmente – oggi come oggi – potrebbe garantire una maggioranza parlamentare all’una o all’altra parte.

Quindi centro-destra e centro-sinistra, ammesso che si coalizzeranno, finiranno per ridividersi in Parlamento: Forza Italia, Alleanza Popolare e Partito Democratico al governo, se avranno seggi sufficienti, Lega, Fratelli d’Italia, sinistra e Cinque Stelle all’opposizione…

È uno scenario ipotizzabile, ma dipende da parecchi fattori. Primo fra tutti, come andrà la campagna elettorale. Noi spesso le sottovalutiamo, ma quel che esce dalle urne non è mai uguale ai sondaggi di sei mesi prima. Per vincere bisogna capire la legge elettorale, scegliere i candidati giusti, battere il territorio palmo a palmo. E poi c’è l’imponderabile: basta guardare quel che è accaduto nel 2013, quando a una settimana dal voto è scoppiato lo scandalo Mps e una quota consistente di elettori di sinistra si sono riversati sul Movimento Cinque Stelle. Se quello scandalo fosse scoppiato due settimane dopo, avremmo avuto un Parlamento completamente diverso.

Aspettiamo i dati ufficiali, quindi, ed evitiamo di lanciarci in previsioni?

Non esageriamo. Qualcosa si può già provare a capire un po’ prima. Ad esempio, la scelta dei candidati uninominali di un’ipotetica coalizione di centrodestra sarà utile per capire come andrà a finire.

In che senso?

Che il centrodestra è molto forte al nord. Se Forza Italia riuscirà a strappare a Salvini quei collegi uninominali, l’ipotesi di una grande coalizione dopo il voto ne uscirà rafforzata. Se invece Salvini riuscirà a tenere duro, ne vedremo delle belle. È una partita molto ostica: fino a ieri Berlusconi poteva contare su Denis Verdini, uno dei due più abili interpreti delle leggi elettorali. Il problema è che l’altro si chiama Roberto Calderoli e ce l’ha la Lega. Se mi è permessa una previsione, credo che Berlusconi e Salvini se le daranno di santa ragione, nelle prossime settimane. Il destino della prossima legislatura, per ora, passa da lì.

Lascia un commento