Primarie decisive, mai come oggi

Le regole per le primarie del centrosinistra diventano più stringenti, ma questa volta saranno decisive: la politica non recupera credibilità e il futuro si preannuncia instabile e incerto

Il centrosinistra italiano rischia ancora una volta di farsi del male da solo. Da molti mesi ormai il Partito Democratico è, secondo tutti i sondaggi, il primo partito italiano. Il centrodestra è in pieno sfaldamento, con il PdL  crollato sotto il 20% dei consensi ed un rapporto con la Lega, anch’essa dimezzata rispetto ad un anno fa, difficile da ricucire (anche se non impossibile). Il PD sembrava avere tutte le carte in regola per egemonizzare l’agenda politica di qui alle elezioni del 2013. Da tempo il segretario Bersani aveva raccolto la sfida delle primarie, dichiarandosi disponibile ad affrontare un’ulteriore consultazione popolare (dopo quella che lo elesse segretario nel 2009) per ottenere il ruolo di candidato premier. La via più logica, a questo punto, era andare ad un congresso anticipato, affrontando in quella sede le sfide poste dal “rottamatore” Matteo Renzi: e chi fosse uscito vincitore da quel confronto avrebbe avuto il diritto – come previsto dallo stesso statuto del PD – di candidarsi a guidare il governo dopo le elezioni 2013. Si è scelta invece un’altra strada, ricalcando la strategia già adottata nel 2005 con Prodi: e cioè creare attorno al PD una coalizione di partiti ed istituire delle primarie di coalizione, modificando ad hoc lo statuto del partito per consentire ad altri esponenti democratici, diversi da segretario, di parteciparvi.

La scelta dei partiti alleati lascia perplessi: fuori Di Pietro, perché fa opposizione al governo Monti, dentro Vendola, che fa opposizione al governo Monti; fuori i Radicali, troppo “imprevedibili”, dentro il PSI, che nonostante il nome glorioso vale sì e no l’1% dei voti; fuori l’API di Rutelli, ma alle primarie potrà candidarsi il rutelliano Bruno Tabacci, assessore della giunta milanese di centrosinistra che però ha detto di non condividere la carta d’intenti “Italia Bene Comune” – in pratica il manifesto delle primarie. Un manifesto in cui non si cita nemmeno una volta l’espressione “governo Monti”, quindi chi vorrà candidarsi alle primarie dovrà impegnarsi a fingere che il governo dei tecnici che ha ridato un minimo di credibilità ad un Paese sull’orlo del baratro semplicemente non sia esistito.

Ma sottoscrivere questo manifesto non è l’unica novità del regolamento di queste “nuove primarie”. In passato le primarie nazionali (che si trattasse di eleggere il candidato premier o il segretario del PD) erano state senza storia, utili più che altro a far ratificare dalla base decisioni già prese dai dirigenti del centrosinistra. Oggi, che il risultato è meno scontato a causa dell’uragano-Renzi (che attira molte simpatie tra gli elettori delusi dal PD ma anche dal PdL), si è provveduto ad istituire tutta una serie di nuove regole. Gli elettori non potranno recarsi semplicemente ai gazebo e votare: dovranno prima registrarsi presso un ufficio apposito, e non potranno farlo negli stessi luoghi dove si vota. E dovranno conservarsi bene il tagliando che gli verrà consegnato, perché se nessun candidato otterrà la maggioranza assoluta dei voti si terrà un ballottaggio 7 giorni dopo: ma potranno votare solo quelli che dimostreranno di essersi registrati entro il primo turno (fissato per il 25 novembre). Infine, niente sedicenni: a differenza che in passato, a votare ci andranno solo i maggiorenni.

Quindi, forse per meglio contrastare la retorica dei vari populismi che vede il PD come un gruppo di oligarchi attaccati al potere e lontani dalla propria base, il PD sceglie di darsi delle regole che penalizzano chi vuole rinnovare il gruppo dirigente e di restringere la propria base. Nel frattempo, il governo fa approvare con la fiducia una legge anti-corruzione che rinuncia ad affrontare le cause principali del fenomeno che strangola l’economia dell’Italia, e il Senato discute una nuova legge elettorale che rischia di produrre un Parlamento ingovernabile. Ma sono questioni tutto sommato poco rilevanti, quando si discute se D’Alema debba ricandidarsi o meno, se i finanzieri abbiano diritto di parola, se la sinistra può permettersi una narrazione che includa l’acquisto dei cacciabombardieri, e così via.

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