Il “gioco dell’estate 2011” è stato senz’altro indovinare quale sarebbe stata la versione definitiva della manovra economica di aggiustamento.
Annunciata per la prima volta a giugno, la prima versione di questa – ennesima – manovra “lacrime e sangue” già lascia poco spazio alla fantasia, inducendo a non prevedere nulla di buono. La ricetta di Tremonti, sostanzialmente, è la seguente: visto che l’Europa ci chiede il pareggio di bilancio, mettiamo nero su bianco che lo raggiungeremo solo nel 2014, e gli interventi di politica economica di entità maggiore li sposteremo tutti negli ultimi due anni (quando, come hanno notato pressoché tutti, la responsabilità dei tagli sarebbe caduta sul governo successivo). Comunque, questa “manovra 1.0” è approvata in via definitiva dal Parlamento il 15 luglio, con un aumento delle previsioni di intervento notevole: dai 47 miliardi di euro (in massima parte, come detto, rinviati al 2013 e 2014) ai circa 70 del testo definitivo. In mezzo, circolano le più svariate ipotesi: sui tagli agli enti locali, sulle pensioni, sui costi della politica, sui ticket sanitari, e molto altro, con i vari attori della compagine di governo e maggioranza che esternano pubblicamente le loro proposte e i loro paletti – quasi sempre in contraddizione gli uni con gli altri. Non può mancare, visti i personaggi, un cavillo “salva Mondadori”, vista la recente sentenza di appello che condanna Berlusconi a risarcire centinaia di milioni a De Benedetti; cavillo, per fortuna, scoperto e ritirato tra le polemiche.
Con l’avvicinarsi di agosto, gli italiani iniziano a risentire dell’aumento del ticket e dei massicci tagli alle agevolazioni fiscali, già entrati in vigore. Ma ecco, il 5 agosto, la doccia fredda: con una lettera riservata quanto perentoria, la Banca Centrale Europea intima al governo italiano di anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Tutto da rifare dunque, Tremonti si rimette al lavoro e ricomincia il simpatico balletto di suggerimenti non richiesti, naturalmente contraddittori e tutti rigorosamente esternati pubblicamente, da parte della maggioranza.
La “manovra 2.0” nasce sotto le insegne del “contributo di solidarietà”, un aumento dell’Irpef che dovrà colpire i redditi sopra i 90.000 euro fino al pareggio di bilancio. Nell’annunciarlo, Berlusconi afferma che il suo cuore “gronda sangue”. È la prima volta, in 17 anni dalla sua discesa in campo, che ammette pubblicamente di dover aumentare le tasse: praticamente la fine di un’epoca.
Ben presto però queste misure di inasprimento fiscale si fanno dei nemici dichiarati all’interno della stessa maggioranza: nascono i “frondisti” del Pdl, guidati dal sottosegretario Crosetto, che chiedono una rivoluzione liberale e meno tasse per rilanciare l’economia, e contestano la manovra “sovietica” del “socialista” Tremonti. Intanto, mentre lo spread tra titoli del debito pubblico italiani e Bund tedeschi oscilla pericolosamente intorno ai 300 punti, in Italia si assiste all’affascinante dibattito: scudo fiscale-bis o raddoppio del contributo di solidarietà alla nuova casta individuata dal ministro Calderoli (i calciatori)? Bossi “spernacchia” pubblicamente il segretario del Pdl Alfano, che aveva proposto di rivedere le pensioni, e la Cgil annuncia uno sciopero generale per settembre. Sindaci e presidenti di regione di tutta italia (di centrodestra e di centrosinistra) si ritrovano insieme in piazza per constestare i tagli selvaggi agli enti locali, quasi un evergreen della politica economica degli anni Duemila targata Berlusconi.
Arriva settembre, e si avvicina la data con cui il Parlamento dovrà convertire in legge il decreto governativo contenente la manovra. Mentre fioccano gli emendamenti tra l’opposizione (ma anche in seno alla maggioranza), si moltiplicano le riunioni informali tra Bossi, Berlusconi e Tremonti per dare un nuovo volto alla manovra. Così, da un giorno all’altro, ecco la “manovra 3.0”: sparisce il “contributo di solidarietà” (sarà poi reintrodotto, ma in misura minore e solo per chi dichiara più di 300.000 euro di reddito annuo: un pugno di mosche), ridimensionati o rinviati alle calende greche i tagli ai costi della politica (rinviati a un ddl costituzionale l’abolizione delle province e il taglio dei parlamentari), ridimensionamento di tutte le misure di liberalizzazione. Tutto questo comporta uno “scoperto” di diversi miliardi nelle previsioni di saldo. Per rimediare a ciò, il governo prevede una copertura ulteriore derivante dalla lotta all’evasione fiscale: lo spauracchio che dovrebbe garantire miliardi di recupero al fisco dovrebbe essere una nuova norma che interviene sul codice penale e stabilisce il carcere per chi evade…più di 3 milioni di euro. A questo punto, mentre si sfiora l’apoteosi del ridicolo e lo spread tocca i 370 punti, il Presidente della Repubblica invia un messaggio preoccupato in cui invita a trovare una copertura effettiva. Berlusconi è costretto a giocare una carta che si era sempre riservato di utilizzre all’ultimo momento: l’aumento dell’IVA dal 20 al 21%. Si entra ormai nella settimana decisiva: il governo pone la fiducia sia al Senato che alla Camera, e non c’è spazio per ulteriori interventi.